Biografia

Parte seconda – gli eventi del 1943

Il gen. Vecchiarelli nel 1943
Il gen. Vecchiarelli nel 1943

Le complesse vicende che caratterizzarono la vita di Carlo Vecchiarelli a partire dal suo arrivo in Grecia nel maggio 1943 e sino alla sua  prematura morte, sono trattate in dettaglio nel libro consultabile nell’apposita sezione di questo sito. Qui di seguito se ne riportano, quindi, solo gli elementi salienti.

La situazione dell’XI Armata che egli aveva trovato al suo arrivo era particolarmente problematica, sia dal punto di vista logistico che da quello militare e – ancor di più – morale.

Partendo da quest’ultimo aspetto, va ricordato che il gen. Vecchiarelli era stato improvvisamente inviato in Grecia per sostituire il precedente comandante, il gen. Carlo Geloso. Questi era stato repentinamente rimosso dal suo incarico con l’accusa di aver permesso un degrado morale dell’Armata, che si era data a ogni sorta di comportamenti illeciti (che per alcuni aspetti, secondo l’accusa, coinvolgevano lo stesso comandante).

L'amm. Domenico Cavagnari, qui insieme a Mussolini
L’amm. Domenico Cavagnari, qui insieme a Mussolini

Per tale motivo il gen. Ambrosio, capo di S.M. Generale, aveva inviato ad Atene, con il compito di condurre una severa inchiesta, l’amm. Domenico Cavagnari, dal cui lavoro erano emerse numerose situazioni che richiedevano duri interventi.

Il gen. Vecchiarelli dovette quindi immediatamente correre ai ripari, sostituendo un gran numero di ufficiali e usando il “pugno di ferro” con i militari che si erano macchiati dei comportamenti più gravi.

A ciò, tuttavia, si sommava, come detto, una critica situazione logistica, che culminava in veri e propri casi limite: come riferito dallo stesso gen. Vecchiarelli, egli aveva dovuto addirittura farsi mandare grano dall’America, attraverso la Croce Rossa,  per sfamare le truppe, o acquistare forniture di zoccoli per calzarle! Anche le armi pesanti, come da lui precisato, erano in gran parte di proprietà dei tedeschi e fornite in prestito.

Disastrosa, infine, la situazione militare. Per pregressi accordi, gli italiani erano dispersi lungo le coste, mentre i tedeschi – meglio armati e in grado di spostarsi rapidamente – occupavano le zone centrali della Grecia: in caso di conflitto, quindi, sarebbe stato praticamente impossibile per gli italiani difendersi, a meno di poter contare su improbabili aiuti via mare.

Il gen. Alexander Löhr
Il gen. Alexander Löhr

Per di più, il gen. Vecchiarelli aveva dovuto accettare la decisione del Comando Supremo italiano di trasformare l’Armata – caso unico verificatosi – in una unità mista italo-tedesca, secondo i desideri di Hitler, che in tal modo si assicurava, di fatto, il controllo della situazione. Il risultato era che il gen. Vecchiarelli doveva riportare a un superiore tedesco (il gen. Löhr) e aveva alle sue dipendenze, oltre a unità italiane, anche unità tedesche (che, ovviamente, si raccordavano nei fatti direttamente al suo superiore). Aveva inoltre al suo fianco, oltre al suo capo di Stato Maggiore (il gen. Gandini), anche un capo di S.M. tedesco (il gen. von Gyldenfeldt), il quale era così in grado di riferire al gen. Löhr ogni sua azione.

A seguito della caduta di Mussolini del 25 luglio 1943, Hitler – che evidentemente già prevedeva il possibile “tradimento” italiano – aveva dato disposizione alle sue forze armate di predisporre in gran segreto un piano dettagliato, denominato “piano Achse” (“Asse”). Scopo di tale operazione, accuratamente studiata nei dettagli scacchiere per scacchiere, era di ottenere, con le buone o con le cattive, il disarmo delle Forze Armate italiane e il loro internamento nei campi di prigionia in Germania.

Si giunse così all’inizio di settembre 1943. La firma dell’armistizio italiano con gli angloamericani, avvenuta il giorno 3, sarebbe stata divulgata dal radiomessaggio di Badoglio solo la sera dell’8, alle 19,45. Vi sarebbero quindi stati alcuni giorni di tempo atti a consentire al Comando Supremo italiano l’invio di dettagliate disposizioni alle diverse unità delle Forze Armate. Ciò, però, non avvenne, se non in modo generico e contraddittorio, particolarmente per quanto riguardava lo scacchiere greco.

Il ten. generale Heinz von Gyldenfeldt
Il magg. generale Heinz von Gyldenfeldt

L’unica disposizione dello Stato Maggiore raggiunse infatti il gen. Vecchiarelli (ma non gli altri comandanti di quell’area) nella tarda serata del 7 settembre, quindi con meno di 24 ore di anticipo sull’annuncio dell’armistizio. Essa era rappresentata dal cosiddetto “Promemoria N. 2”.

Questo documento, dopo un vago accenno alla possibilità di “deporre le armi indipendentemente dai tedeschi”, lasciava in tal caso al gen. Vecchiarelli la valutazione di come agire nei confronti degli ex alleati, contro i quali, peraltro, egli non avrebbe dovuto prendere iniziative ostili se non come conseguenza di un loro eventuale attacco armato.  Le posizioni di difesa costiera, inoltre, avrebbero dovuto essere cedute entro un breve periodo ai tedeschi.

L’indicazione di evitare atti di ostilità contro i tedeschi fu poi confermata, due giorni dopo, da un ordine inviatogli dal gen. Ambrosio, Capo di S.M. Generale (Ordine N. 24202/Op. del Comando Supremo). Da notare anche che pochi giorni prima, in risposta a dubbi sollevati dal gen. Vecchiarelli circa l’atteggiamento tedesco, il Comando Supremo italiano – a trattative per l’armistizio già in corso – aveva seccamente risposto di “tenere ben fermo che la guerra continua al fianco dei nostri alleati“.

In questa drammatica situazione, mentre il gen. Vecchiarelli rifletteva su come dare attuazione al “Promemoria N. 2”, ed era privo di qualunque altra informazione dall’Italia che potesse assisterlo nelle decisioni, la radio annunciò l’armistizio.

Passato il primo momento di comprensibile sgomento, egli convocò il gen. Gyldenfeldt e lo incaricò di riferire al gen. Löhr che avrebbe immediatamente emesso un ordine che, in sostanza, dava attuazione alle indicazioni del Promemoria. Esso disponeva che le truppe italiane non avrebbero attaccato quelle tedesche se non a loro volta attaccate, che non avrebbero fatto fronte comune con i partigiani greci (le cui azioni rappresentavano un grosso problema per i tedeschi) e che avrebbero mantenuto le difese costiere in efficienza sino a sostituzione con le truppe germaniche.

La risposta del gen. Löhr non si fece attendere: come da piano Achse, si intimava al gen. Vecchiarelli di disconoscere l’armistizio e continuare a collaborare con i tedeschi ovvero, in alternativa, cedere loro tutte le armi, onde evitare che se ne impadronissero con la forza.

Il gen. Vecchiarelli rifiutò entrambe le alternative e – ben conoscendo lo stato delle sue truppe – cercò di intavolare una trattativa che consentisse di evitarne il massacro pur senza tradire la fedeltà alle direttive ricevute. Trattativa che si protrasse sino a tarda notte, e che vide a un certo punto il gen. Gyldenfeldt sostituito da un ufficiale più alto in grado, il gen. Lanz: quello stesso ufficiale che, pochi giorni più tardi, avrebbe dato attuazione al piano che portò alla tragedia di Cefalonia, ove i tedeschi perpetrarono una strage di ufficiali e soldati italiani.

Il gen. Hubert Lanz
Il gen. Hubert Lanz

In questa dura trattativa, il gen. Vecchiarelli inizialmente ottenne da Lanz l’impegno a rimpatriare tutte le truppe italiane con i relativi armamenti al seguito. Tuttavia l’accordo non venne ratificato dal gen. Löhr, e la posizione tedesca restò quella di richiedere agli italiani la totale cessione delle armi.

A seguito di ulteriori lunghe trattative, protrattesi per tutta la notte sino alle prime ore del mattino, e grazie essenzialmente al suo personale prestigio,  il gen. Vecchiarelli riuscì a raggiungere un accordo che prevedeva che le truppe italiane sarebbero state rimpatriate mantenendo l’armamento individuale[1].  I tedeschi accettarono ed egli diramò le conseguenti disposizioni, alle quali le diverse unità italiane si attennero, pur con qualche eccezione (in particolare, la Divisione “Acqui” di stanza a Cefalonia, con il risultato sopra ricordato).

Malgrado il tentativo del gen. Vecchiarelli e dei suoi collaboratori di assicurare un ordinato trasferimento delle truppe, iniziarono però a verificarsi molti casi di vendita di armi da parte di soldati italiani a partigiani greci: i tedeschi trovarono così il pretesto per non rispettare i patti sottoscritti, e tolsero agli italiani – che, evidentemente, a quel punto non avrebbero più potuto reagire – anche le armi individuali.

Patti che non vennero rispettati neanche per quanto riguardava il trasferimento delle truppe in Italia: esse vennero, infatti, internate in Germania, e il medesimo destino toccò allo stesso gen. Vecchiarelli, che di lì a poco venne arrestato, deportato e imprigionato nel campo di Schokken (oggi Skoki, in Polonia).

In definitiva, il gen. Vecchiarelli – come lui stesso rimarcò nei suoi scritti – seguì questa linea facendo violenza a se stesso, consapevole che non esisteva altra soluzione per evitare il massacro dei suoi soldati. E in effetti, pur al termine di una lunga prigionia, a guerra finita essi poterono tornare alle loro case.

Per lui, invece, si apriva un vero e proprio calvario di accuse di opposto segno, come vedremo a pagina successiva.

[1]Va peraltro ricordato che, come già detto, gran parte dell’armamento pesante in dotazione alle truppe italiane era, in realtà, dei tedeschi e ad esse prestato. Ciò dà un’ulteriore idea  della situazione in cui l’Armata italiana si trovava.