Biografia

Parte terza – dal 1943 alla morte

 

A  valle di quei drammatici avvenimenti, giorni molto difficili attendevano il gen. Vecchiarelli.

Infatti, come già indicato, il 18 settembre 1943, in spregio a ogni correttezza e lealtà agli accordi intervenuti, i tedeschi, che ormai avevano il pieno controllo della situazione, lo misero agli arresti domiciliari. La stessa cosa avvenne per tutti i generali che si trovavano nell’area di responsabilità del Gruppo di Armate E del gen. Löhr.

Il carcere degli Scalzi a Verona
Il carcere degli Scalzi a Verona

Subito dopo egli venne trasferito a Schocken (oggi Skoki, località polacca nei pressi di Poznan), ove si trovava un campo di internamento tedesco (Oflag = Offizierslager, campo di prigionia per ufficialinel quale venne concentrato un elevato numero di alti ufficiali italiani. Il gen. Vecchiarelli vi rimase prigioniero per poco più di quattro mesi (sopportando quindi in tale luogo anche il gelido inverno polacco), sino al 24 gennaio 1944: in tale data fu trasferito a Verona, presso il Carcere degli Scalzi, ove giunse il giorno 28.

In questo luogo venivano incarcerati coloro che erano considerati traditori dello Stato fascista, per i quali Hitler aveva incoraggiato Mussolini a prevedere pene esemplari. Lì, in particolare, erano stati detenuti Galeazzo Ciano e gli altri congiurati del Gran Consiglio, che erano stati fucilati, al termine di un processo sommario e dall’esito predestinato, l’11 gennaio 1944.

L'amm. Inigo Campioni
L’amm. Inigo Campioni

I processi svolti da parte della R.S.I. a carico del gen. Vecchiarelli e di altri alti ufficiali (generali di armata e ammiragli) vennero definiti i “processi dei generali” (o “degli ammiragli”). Essi si conclusero, salvo alcune eccezioni, con pesanti condanne: gli ammiragli Campioni e Mascherpa, condannati per “alto tradimento”, vennero condannati  morte e giustiziati il 24 maggio 1944.

Si può quindi ben immaginare lo stato d’animo del gen. Vecchiarelli, che rimase in carcere in attesa di conoscere il suo destino per quasi un anno: l’11 gennaio 1945 venne, infine, condannato dal tribunale fascista di Brescia a 10 anni di reclusione, con la motivazione di “comportamento antitedesco in Grecia”.

Come da lui stesso riferito, il 25 aprile 1945 venne quindi  liberato dai partigiani del CLN di Brescia, e si unì alla Compagnia “Fiamme Verdi” di “Bruno”. Il gen. Vecchiarelli sia pur per pochi giorni ebbe così modo di partecipare alla guerra di Liberazione. Tale circostanza, così come la condanna fascista e la lunga detenzione quale “antitedesco”, non gli evitarono però un triste ritorno nell’Italia liberata.

A poco più di un mese dalla sua liberazione dal carcere, il 1 giugno 1945, egli riceveva infatti una lettera dell’allora Ministro della Guerra, Alessandro Casati, nella quale oltre a esprimere “compiacimento per la felice liberazione di V.E. dal carcere nazi-fascista”, gli veniva formalmente richiesto di prendere contatto con gli organi chiamati a vagliarne l’operato, rispondendo ad appositi questionari e presentando “dettagliate  relazioni”.

Richiesta alla quale egli diede seguito consegnando quanto richiesto in pochi giorni, il successivo 12 giugno (vedi, nella sezione Documenti, il testo della Relazione alla Commissione Accertamenti).

La richiesta di epurazione del gen. Vecchiarelli
La richiesta di epurazione del gen. Vecchiarelli

Ma tutto ciò non servì a nulla, in quanto, in parallelo all’esame della sua posizione da parte della competente Commissione (e quindi senza prendere visione della documentazione da lui presentata né, tanto meno, sentirlo personalmente), egli venne epurato d’autorità in base a un Decreto Legislativo Luogotenenziale a suo tempo varato per colpire chi era ritenuto particolarmente compromesso con il regime fascista.[1]Tale provvedimento era stato varato a seguito di un precedente Decreto, intitolato “Sanzioni contro il fascismo”, emesso per consentire una rapida epurazione di coloro che fossero particolarmente compromessi con il regime, con lo scopo di accelerarne gli effetti [2].

Il 27 agosto 1945, infatti, il nuovo Ministro della Guerra, Stefano Jacini, scriveva al Presidente del Consiglio Ferruccio Parri per chiedere, in base al sopra citato Decreto Legislativo N. 257, il collocamento in congedo assoluto (ossia, in altre parole, l’epurazione dalle Forze armate) del gen. Vecchiarelli.

Da notare che tale Decreto, emanato l’11 ottobre 1944 ed esecutivo dal 1 novembre, prevedeva che simili provvedimenti potessero essere presi al massimo entro 60 giorni dalla sua entrata in vigore, che scadevano quindi il 31 dicembre 1944. Solo in casi specifici questi provvedimenti potevano essere adottati in data successiva: in particolare, nei territori “non ancora restituiti all’Amministrazione italiana” i 60 giorni decorrevano dalla data di entrata in vigore del Decreto in tali territori.[3]

Per giustificare la propria richiesta, nella citata lettera del 27 agosto 1945 il Ministro della Guerra sosteneva quindi che, essendo tale Decreto giunto al prefetto di Brescia (ove alla data di emanazione dello stesso il gen. Vecchiarelli era detenuto dai fascisti) il successivo 29 giugno 1945, i 60 giorni sarebbero scaduti il 28 agosto. Con ammirevole e non comune celerità il Presidente del Consiglio provvide alla firma del provvedimento contro il gen. Vecchiarelli in sole 24 ore, così da non far scadere il termine.

Il Decreto di epurazione
Il Decreto di epurazione

Nelle motivazioni della richiesta, conservata – come altri documenti qui citati – nell’Archivio Centrale dello Stato[4], si legge, tra l’altro, che “Dopo gli avvenimenti del 25 luglio 1943 [il gen. Vecchiarelli] dimostrò di non aver l’intuito né la levatura intellettuale che sarebbero stati necessari in quelle contingenze eccezionali.” E più avanti: “Il generale Vecchiarelli, anche quando il 7 settembre 1943, ebbe notizie ufficiali del rovesciamento della situazione, anziché concretare disposizioni di carattere eccezionale in aderenza alla situazione che si stava verificando, preferì non portare varianti al suo programma che rimase ancora quello di evitare contrasti con i tedeschi”. L’estensore dell’accusa, quindi, non sapeva – o fece finta di non sapere – che le disposizioni dei citati Promemoria N. 2 e successivo Ordine N. 24202/Op. del Comando Supremo, emanati rispettivamente il 6 e l’8 settembre, davano per l’appunto disposizione al gen. Vecchiarelli di evitare contrasti con i tedeschi…

La lettera, subito prima della conclusiva richiesta alla Presidenza del Consiglio di firma del provvedimento di epurazione, incredibilmente si chiude con la seguente frase: “Il generale Vecchiarelli è stato recuperato a Brescia, ove era detenuto per scontare una condanna a 10 anni di reclusione, inflittagli dal «tribunale speciale per la difesa dello stato»”. Il suo estensore si “dimentica”, al proposito, di far notare che si trattava di un tribunale fascista della R.S.I., che la condanna era dovuta al suo atteggiamento antitedesco e che il suo “recupero” era avvenuto ad opera delle formazioni partigiane….

E’ da notare che l’Art. 2 del citato Decreto N. 247 disponeva che provvedimenti quali quello preso nei confronti del gen. Vecchiarelli potessero essere emanati anche “in pendenza del giudizio di epurazione”, ossia senza attendere che le Commissioni all’uopo costituite giudicassero nel merito la colpevolezza o meno degli imputati. Inoltre all’Art. 6 si specificava che avverso tali provvedimenti  “non è ammesso ricorso, né in via amministrativa, né in via giurisdizionale, salvo che per il motivo di incompetenza”. Un giudizio sommario, quindi, effettuato senza sentire l’interessato e non lasciando così nessuna possibilità di far valere le proprie ragioni per chi veniva preso di mira.

Il decreto prevedeva, peraltro, che entro 30 giorni dall’inizio di un procedimento la Commissione di epurazione dovesse contestare gli addebiti, ricevere  le discolpe e svolgere la necessaria istruttoria per giungere a una conclusione. Tutto ciò non venne fatto, tanto che l’8 settembre 1945 (ossia 10 giorni dopo l’emanazione del provvedimento contro il gen. Vecchiarelli) il Presidente della Commissione, Giuseppe Meloni, scriveva una lettera alla Presidenza del Consiglio per chiedere una proroga di 60 giorni.[5] Proroga che veniva concessa con lettera del 21 settembre a firma del Presidente Ferruccio Parri.[6]

La richiesta di modifica del provvedimento di epurazione
La richiesta di modifica del provvedimento di epurazione

La Commissione deliberò, infine, il non luogo a procedere nei confronti del gen. Vecchiarelli, notificandoglielo il successivo 23 ottobre. Ciò non gli evitò, tuttavia, una lunga battaglia per vedersi revocare l’ingiusto provvedimento che lo aveva colpito.

In particolare, il 30 novembre 1945 egli inviò al Ministero della Guerra un corposo documento nel quale ribadiva, anche alla luce delle suddetta pronuncia della Commissione, la richiesta di revoca del provvedimento di epurazione, fornendo tutta una serie di ulteriori considerazioni. Tra l’altro, facendo notare che la sua condanna era avvenuta con riferimento a una disposizione che colpiva “ [coloro] i quali abbiano dato prova di faziosità fascista o della incapacità o del malcostume introdotti dal fascismo nelle pubbliche Amministrazioni”[7],orgogliosamente egli dichiarava: Ho sempre odiato gli arrivisti, i piaggiatori, i trafficanti; e come nella mia opera educativa non ho mai fatto mistero di questi miei sentimenti, cercando anzi di propagarli, così all’atto pratico mi sono sempre regolato in conseguenza. Potrei, occorrendo, citare fatti e testimonianze: ma mi lusingo di essere ben conosciuto sotto questo aspetto”.[8]

Passarono però quasi tre mesi ancora prima che il gen. Vecchiarelli riuscisse a far valere, almeno in parte, le sue ragioni. Infatti solo in data 21 febbraio 1946 il nuovo Ministro della Guerra, Manlio Brosio, inviava alla Presidenza del Consiglio una lettera in cui si chiedeva, sulla base degli accertamenti effettuati, di revocare il provvedimento precedentemente emesso (considerandone la sanzione comminata “eccessiva”), ed emanando al suo posto un altro Decreto presidenziale che disponesse invece per il gen. Vecchiarelli il collocamento nella riserva.[9] Era quella che oggi definiremmo “una soluzione all’italiana”, nella quale da un lato si riconoscevano le ragioni dell’imputato, ma dall’altro non si voleva smentire completamente quanto deciso in passato.

La lettera di accompagno del Decreto inviata dal Ministro della Guerra
La lettera di accompagno del Decreto inviata dal Ministero della Guerra

Da notare che, stranamente, sull’originale della lettera pervenuta alla Presidenza del Consiglio (v. qui a sinistra) si legge la seguente annotazione: “Dal protocollo non risulta pervenuta la lettera citata“, con riferimento a quella sopra ricordata, che aveva chiesto e ottenuto in 24 ore  l’epurazione del gen. Vecchiarelli. E un’altra stranezza è rappresentata dal fatto che l’unico esemplare esistente in atti del Decreto di epurazione è una copia non firmata, su carta della Presidenza del Consiglio, della quale quest’ultima – che evidentemente non ne aveva traccia – aveva richiesto l’invio da parte del Ministero della Guerra a seguito della ricezione della suddetta lettera  (vedi qui a destra il foglio di trasmissione del Decreto in risposta a tale richiesta, e più in alto la copia del Decreto stesso).

Ne sorgono diversi interrogativi:

  • perché la richiesta di epurazione inviata dal Ministero della Guerra non risultava ricevuta da parte della Presidenza del Consiglio, e su quali basi nonostante ciò essa avrebbe potuto emettere il relativo Decreto?
  • come mai la Presidenza del Consiglio non aveva almeno tenuto copia, né traccia alcuna, del Decreto da essa stessa emanato, tanto da doverne successivamente richiedere copia al Ministero della Guerra?
  • e come mai il Ministero della Guerra  aveva soltanto una copia del Decreto non firmata (v. qui sopra), su carta intestata della Presidenza del Consiglio (così come, verosimilmente, aveva predisposto la bozza),  anziché – come avrebbe dovuto essere  – l’originale firmato dal Presidente Parri, con gli estremi della registrazione?

Queste domande, destinate a restare senza risposta, non possono che gettare una luce sinistra sulle modalità in cui tutta la vicenda si era svolta. Oltretutto, come  rimarcato anche dal gen. Vecchiarelli in uno dei suoi esposti, il Decreto di epurazione non fu mai pubblicato in Gazzetta Ufficiale, come peraltro si sarebbe dovuto verificare se le cose si fossero svolte regolarmente. Ogni sospetto, quindi, sembra lecito.

La risposta della Presidenza del Consiglio
La risposta della Presidenza del Consiglio

Ad ogni modo, la seppur tardiva richiesta del Ministro Brosio di attenuazione del provvedimento, come sopra ricordata, era addirittura un pasticcio giuridico. Infatti la Presidenza del Consiglio  (v. qui a fianco) rispose che, in base alle disposizioni del citato Decreto N. 257, non era più possibile l’emanazione di decreti di tal genere (visto che, come già ricordato, il Decreto era scaduto più di un anno prima). Si suggeriva quindi la strada di tener fermo il precedente provvedimento, modificandone soltanto la sanzione (da collocamento in congedo a collocamento nella riserva), e che così si sarebbe proceduto.

Ma così non fu: infatti dopo altri 5 mesi (il 26 luglio 1946) la Presidenza del Consiglio fece sapere che nel frattempo era stato emanato, in data 25 giugno, un Decreto Legislativo Presidenziale[10]che prevedeva la possibilità di revisione di provvedimenti consimili solo sulla base di una formale opposizione presentata dall’interessato con le modalità specificate dal Decreto stesso.[11] Il gen. Vecchiarelli inviò pertanto al nuovo Ministro della Guerra, Cipriano Facchinetti, un ulteriore ricorso nel quale ripercorreva il suo travagliato iter.[12]

Ci volle però quasi un altro anno e mezzo perché gli venisse finalmente data ragione, reintegrandolo contestualmente nel grado. Infatti solo in data 27 novembre 1947 il Consiglio dei Ministri, presieduto da Alcide De Gasperi, così decretava: “Il Consiglio dei Ministri, in accoglimento della opposizione proposta, ha annullato il provvedimento di collocamento in congedo assoluto del generale designato d’armata Carlo Vecchiarelli, disposto con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 28 agosto 1945”.[13] Decisione che gli venne formalmente comunicata in una lettera di tono  burocratico, firmata dal Ministro Facchinetti, inviatagli il 27 gennaio 1948.[14]

La lapide sulla tomba di Carlo Vecchiarelli a Cingoli
La lapide sulla tomba di Carlo Vecchiarelli a Cingoli

Una battaglia, quindi, durata quasi due anni e mezzo, che si aggiungevano a più di un anno e mezzo tra prigionia e detenzione in carcere: quattro anni che non poterono non lasciare profondi segni nel fisico e nello spirito del gen. Vecchiarelli (che pure, in quel travagliato periodo, non mancò di impegnarsi in molteplici attività, sia di carattere politico, sia dando vita a un’Associazione culturale – il “Circolo Rex” – ancor oggi attiva, della quale fu anche il primo Presidente; sia, infine, pubblicando svariati articoli sotto lo pseudonimo di “Viator”).

A poco più di un anno di distanza dalla conclusione di queste amare traversie, infatti, il 13 dicembre 1948 egli moriva a causa di complicazioni polmonari conseguenti a un banale intervento chirurgico cui si era sottoposto presso l’Ospedale Militare del Celio a Roma.

Al suo funerale, nel quale gli vennero resi gli onori militari, venne eseguita la “marcia funebre” della Sinfonia N. 3 “Eroica” di L.v.Beethoven.

Il motto da lui scelto era una celebre frase di S. Paolo: “Bonum certamen certavi, cursum consummavi, fidem servavi” (“Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede”)[15].

Queste parole sono incise sulla sua tomba a Cingoli.

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[1]Decreto Legislativo Luogotenenziale 11 ottobre 1944, n. 257, Norme per l’acceleramento del giudizio di epurazione e per il collocamento a riposo dei dipendenti civili e militari dello Stato appartenenti ai primi quattro gradi della classificazione del personale statale, G. U. N. 72 del 24.10.1944.

[2]Decreto Legislativo Luogotenenziale 27 luglio 1944, n. 159, Sanzioni contro il fascismo, G. U. N. 41 del 29.7.1944.

[3] Art. 5 del citato D.L.L. n. 257, evidentemente inserito con lo scopo di poter perseguire, in particolare, gli aderenti alla R.S.I. (e non certo chi ne era vittima), ai quali peraltro si faceva specifico riferimento in uno dei successivi commi.

[4]ACS, Pcm 1944-1947, n. 3271, Fasc. 10433

[5] ACS, Pcm 1944-1947, n. 3379, Fasc. 10124.51.9.

[6]Ibid.

[7] Così l’Art. 13 del citato D.L.L. n. 159.

[8] Vedi il testo del ricorso nella sezione Documenti

[9] ACS, Pcm 1944-1947, n. 3271, Fasc. 10433

[10]Decreto Legislativo Presidenziale 25 giugno 1946, n. 15, Facoltà di opposizione avverso i provvedimenti di collocamento a riposo disposti ai sensi dell’art. 2 del decreto Legislativo Luogotenenziale  11 ottobre 1944 n. 257, G. U. N. 153 dell’11.07.1946

[11]ACS, Pcm 1944-1947, n. 3271, Fasc. 10433

[12]Vedi il testo del ricorso nella sezione Documenti

[13] Ricci A.G. (a cura di), Archivio Centrale dello Stato, Verbali del Consiglio dei Ministri, Luglio 1943 – Maggio 1948, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma 1998, p. 1295

[14]L’originale della lettera si trova nell’archivio privato del gen. Vecchiarelli

[15]Seconda lettera di S. Paolo a Timoteo, 4.7.