L’Appendice alla Relazione

 

Appendice alla Relazione

sul comportamento del comandante dell’’11ᵃ  Armata

in dipendenza dell’armistizio dell’8 settembre 1943

 

A) Il “promemoria ” di cui a pag. 7[1] della mia relazione aveva il titolo di “Promemoria N. 2”. Non ricordo se portasse data; la data del foglio di trasmissione era del 6 settembre.

Quest’ultimo era indirizzato al gen. Rosi[2], all’amm. Campioni[3] ed a me; diceva all’incirca così: “Per ordine di S.E. il Capo di S.M. Gen.le[4] trasmetto a V.E.[5] l’annesso promemoria da servire come orientamento e direttiva”. Era firmato dal Sottocapo di S.M. Gen.le, gen. Francesco Rossi.

Lo riproduco come lo ricordo[6]:

“E’ possibile che l’Italia debba concludere un armistizio con le Potenze Anglosassoni indipendentemente dalla Germania. In questo caso è da temersi che i Tedeschi attacchino le nostre truppe nei Balcani”.

Seguivano direttive per le unità dipendenti dai tre destinatari, precedute da un sommario confronto delle forze italiane e tedesche nei rispettivi territori.

Per quanto concerneva Albania-Montenegro ed Egeo, ricordo la parte essenziale nel modo seguente:

  • In Albania si doveva cercare di concentrare le forze e in definitiva tendere al possesso quanto possibile sicuro di Durazzo e di Cattaro
  • In Egeo si doveva attaccare l’unica divisione tedesca ivi esistente. Se ciò non fosse stato ritenuto possibile e conveniente, regolarsi come successivamente indicato per la Grecia (*).
  • A Creta: come per il resto della Grecia. Io avrei dovuto mandare in comunicazione al gen. Carta lo stesso ”promemoria N. 2″, farmelo restituire e distruggerlo. (**)

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* Era questa la “grossa sconcordanza” di cui a pag.8 della relazione. Come avrebbero potuto i Tedeschi credere alla presunta lealtà di colui che si trovava in evidente malpartito, se il suo vicino che si riteneva in vantaggio aggrediva l’ex alleato? L’aggressione italiana in un settore avrebbe potuto servire di giustificazione per quella aggressione  tedesca nel contiguo che si voleva evitare.

** Come detto nella relazione, non feci in tempo a spedirlo, e poiché le direttive per Creta erano identiche a quelle pel resto della Grecia, l’unico modo di farle giungere a quel comandante era quello di estendere alla Siena la diramazione del telegramma – All. 2 alla relazione – inviato, per ragioni di urgenza, oltre che ai Corpi d’Armata, anche a tutte le divisioni

Per la Grecia e Creta era detto:

  • “8 divisioni italiane contro 11 tedesche di cui 1 corazzata”.
  • “Il comandante dell’11ᵃ armata è autorizzato ad addivenire ad accordi coi Tedeschi anche in contrasto con l’armistizio, tenendo presenti i criteri che seguono:
    1. La miglior cosa sembra sia di dire francamente ai Tedeschi che:
      • le truppe italiane non attaccheranno le truppe tedesche a meno non siano da queste attaccate, nel qual caso alla forza reagiranno con la forza;
      • esse non faranno causa comune né coi ribelli greci né con gli Anglosassoni se sbarcassero;
      • si offrono di mantenere in atto la difesa costiera fino ad avvenuta sostituzione con truppe tedesche; periodo di tempo da stabilirsi.
    2. Successivamente cercare di riunire le forze in prossimità dei porti.
    3. In caso di aggressione tedesca, resistere.”

Seguivano disposizioni di carattere generale fra le quali le prescrizioni per la Marina e per l’Aeronautica.

Le navi, all’annuncio dell’armistizio, dovevano far rotta per l’Italia; se impossibilitate autoaffondarsi. Gli aerei portarsi a volo in Italia.

 Le truppe delle due Forze Armate dovevano seguire la sorte di quelle dell’Esercito.

Tutte le predisposizioni dovevano essere date verbalmente e mascherate da ragioni operative.

Era indicata una formula di preavviso; ma si preveniva che l’evento avrebbe anche potuto prodursi improvvisamente.

A complemento di queste direttive il gen. Gandini mi riferiva di aver conferito col Sottocapo di S.M. Gen., gen. Francesco Rossi, il quale gli aveva detto: “A mio modo di vedere, l’unico vostro scampo può solo consistere nell’andare coi Tedeschi. Ma è una mia opinione personale”. Al che io obbiettai che l’armata – anche se io avessi potuto indurmi ad una simile enormità perché autorizzato – non mi avrebbe seguito. E Gandini di rimando: “La stessa cosa ho risposto io a S.E. Rossi”.

Oltre le ragioni obiettive di tale mia valutazione rappresentate apertamente anche ai Tedeschi, ce n‘era una che ad essi non potevo dire, ed era la seguente: io, per mantenere la quiete degli spiriti nell’interno dell’armata (ove verosimilmente, seppure meno apertamente, erano rappresentate tutte le tendenze politiche) avevo minimizzato quello che più tardi prese il nome di colpo di Stato, riducendolo alle dimensioni di un cambio di Gabinetto ed – oltre alla direttiva riportata a pag. 6[7] della relazione – avevo commentato e fatto commentare attraverso il servizio Assistenza (periodico Radiofante incluso, che pubblicò affiancate le fotografie di S.M. il Re e del Maresciallo Badoglio) la felice scelta del nuovo Capo di Governo , il cui nome era legato alle due ultime più gloriose vicende militari italiane, Vittorio Veneto e Campagna Etiopica. All’annuncio dell’attacco in Calabria, avevo diramato un telegramma di fiducia nel “glorioso Maresciallo”. Come avrei potuto, di punto in bianco, capovolgere il mio linguaggio?

Il gen. Vecchiarelli, che comandava l’armata da 4 mesi, nei quali aveva dovuto lavorare a raddrizzare tante gambe storte (certo con soddisfazione degli animi diritti, ma tra l’immaginabile disappunto dei moralmente storpi) che autorità poteva avere per imporre all‘armata una personale sua presunta volontà diametralmente opposta alle decisioni del Governo del Re ed altrettanto contraria a quella che era ormai l’incoercibile aspirazione delle truppe, anelanti al rimpatrio?

Quale tono di persuasione avrebbero potuto avere le parole, per lui nel profondo del cuore sacrileghe e blasfeme, che a tal fine avrebbe dovuto pronunciare?

Mi pare di aver dimostrato coi fatti a quali sacrifici personali sarei stato capace di espormi pur di salvare la mia armata; e a questo scopo non avrei esitato nemmeno davanti alla ignominia dell’apparente ribellione. Ma era necessario che io potessi ritenere possibile raggiungere lo scopo voluto, con quello spregiudicato espediente, che mi si suggeriva pur senza espressamente ordinarmelo: e ciò non era sotto alcun aspetto.

Mi soggiunse inoltre il gen. Gandini di aver parlato col Ministro della Guerra, gen. Sorice, il quale gli aveva detto come “noi Italiani fossimo schiacciati fra due tremendi egoismi” e riferendosi al caso specifico dell’armata in vista dell’armistizio, “voialtri siete sacrificati”. Dopodiché i due insieme avrebbero concluso che per fortuna il gen. Vecchiarelli era molto considerato dai tedeschi ed avrebbe potuto trovare il modo di salvare la situazione “preservando l’armata dallo sterminio e dai terribili campi di internamento”.

 Al che io replicai che erano modi ben strani di risolvere le situazioni compromesse e – dopo una discussione sulla situazione, fatta nel mattino del giorno 8 (in cui io esercitai la normale attività di ufficio per non allarmare l’eventuale vigilanza dello S.M. tedesco, stabilito nel nostro stesso palazzo) – decisi di restare, nel pomeriggio, nel mio alloggio per redigere la lettera di cui a  pag. 8[8] e segg. della relazione.

Il “promemoria N. 2” – così commentato e in difetto assoluto di ogni altro orientamento scritto o verbale – richiedeva da me un lavoro di induzione e di deduzione.

Prima sostanziale induzione: Gli Inglesi non sarebbero sbarcati, almeno per un periodo abbastanza lungo; altrimenti non si sarebbe spiegata la direttiva concernente la difesa costiera e la sua illimitata latitudine dl spazio e di tempo. Naturalmente non potevo però esserne sicuro. (***)

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*** Nel fatto, tenendo presente la direttiva n.2 del promemoria, pur nell’incertezza sul contegno che gli Inglesi, eventualmente sbarcando, avrebbero tenuto verso l’armata, che con la dichiarazione suggeritale si era neutralizzata:

–        ho precipitato, garantito dalla condotta tedesca, l’abolizione della difesa costiera, fatta cessare fin dalle ore 10 del 10 settembre (e di ciò il Comando Supremo da me ragguagliato fin dal giorno 9, avrebbe potuto informare i nuovi cobelligeranti, sollecitando soccorsi per l’armata);

–        nell’ordine di successione delle partenze stabilito dal verbale Scoti – von Bogen, ho posposto le truppe della Grecia occidentale e di Creta.

Seconda: Mediante accordi (anche spregiudicatissimi o, almeno apparentemente, criminosi) si doveva prevenire l’aggressione tedesca per evitarne le evidenti disastrose conseguenze. Se ogni accordo si fosse rivelato vano e l’aggressione si fosse scatenata, sacrificarsi. Io arbitro del limite cui si poteva giungere negli accordi, prima di determinare l’irreparabile; limite che, per autorevole suggerimento superiore, avrebbe potuto giungere sino alla defezione.

Terza: La tattica di accordi indicatami doveva verosimilmente inserirsi in un sistema generale di compromessi con l’ex alleato, costituendo partita di do ut des, altrimenti non avrebbe approdato a nulla per l’assoluta assenza, in Grecia, di garanzie materiali. Mia speranza che l’eccezione di Rodi potesse essere eliminata e fosse comunque la sola, quindi forse sanabile (v. anche successivo punto D).

Come detto nella relazione, non pochi punti interrogativi mi assillavano a riguardo delle direttive ricevute; ma di fronte alla sorpresa dell’annuncio Reuter ed all’incombente pericolo della sicura e meticolosamente organizzata aggressione, non mi rimaneva altro che obbedire e percorrere quella via degli accordi che mi era stata indicata dal Comando Supremo, nella fiducia di esserne sostenuto e aiutato allo scopo voluto di salvare il salvabile.

B) L’accenno al gen. Giglioli, contenuto a pag. 17[9] della relazione, va completato nel modo seguente.

Una mia figliuola[10], visitandomi (maggio 1944) nel carcere di Verona, mi fece comprendere (eludendo la vigilanza del graduato che assisteva al colloquio), e mi ha poi meglio specificato più tardi, che essa seppe il 12 settembre 1943 che era giunto a Cingoli[11] (dove la mia famiglia soleva trascorrere l’estate) il gen. Giglioli, ospite dei suoi parenti Tittoni. Essa l’andò a cercare per averne possibilmente notizie mie. Il generale le disse di essere di ritorno dai Balcani, ove avrebbe dovuto recapitare un piego al gen. Rosi ed uno a me; ma il precipitare della situazione gli aveva impedito di portare a termine il suo incarico; ed i pieghi erano tuttora in suo possesso.

Dall’insieme della conversazione mia figlia – pur senza garantirmi l’assoluta esattezza – ritiene di aver compreso come, nella mattinata del giorno 8, c’era stata presso il Comando Supremo una riunione presieduta dal Capo di S.M. Gen.[12] cui parteciparono rappresentanti dei vari scacchieri: per i Balcani il gen. Giglioli; che durante la discussione i documenti già preparati per il gen. Rosi e per me avevano subito varianti estemporanee in matita rosso-blu; che in sostanza io avrei dovuto “fare il ribelle” passando con tutta l‘armata ai Tedeschi; che comunque il gen. Rosi avrebbe dovuto interpretare, integrandole con la personale migliore conoscenza della situazione, le direttive concernenti lui e forse anche me, e decidere in conseguenza.

In vista di tale incarico, si rinviava l’invito a conferire già notificatogli per il giorno 9 settembre.

Premesso questo, debbo rappresentare come io in sostanza ignori tuttora quali precisamente fossero le direttive che mi si inviavano in data 8 settembre ed alle quali si riferiva verosimilmente il telegramma giuntomi il 9 mattina a firma Ambrosio[13], mentre io, all’oscuro del seguito, dovevo ritenere si riferisse al “Promemoria N. 2”.

Ma debbo altresì soggiungere come le confidenze di mia figlia mi causassero una serissima crisi di coscienza, portandomi di nuovo a riflettere – retrospettiva-mente e quindi ancor più dolorosamente – sull’eventuale migliore (o meno peggiore) partito che, in quella situazione, avrebbe potuto rappresentare una mia secessione. Mi tranquillizzavo dicendomi che anche tale spregiudicatissima soluzione io avevo coscienziosamente studiato escludendone a ragion veduta l’attuabilità; che non mi sarei in conseguenza ridotto se non per categorico ordine superiore, mai ricevuto.

D’altra parte gli avvenimenti posteriori hanno dimostrato che le secessioni di generali, qualiGambara ed Ollearo[14], non hanno affatto evitato l’internamento delle truppe rispettive.

C) Tutto quanto di reale è contenuto nella mia deposizione resa a Verona[15] (all.8[16] alla relazione) era controllabile da parte dei repubblicani[17], attraverso i generali tedeschi col quali avevo avuto a che fare in Grecia, particolarmente per mezzo dei gen. Lanz e von Gyldenfeldt.

La mia risposta alla lettera del Comando Supremo in data 15 agosto poteva addirittura essere in mano dei repubblicani, essendo stata spedita a Roma l’8 settembre mattina.

Era quindi necessario che io fossi veridico; potevo soltanto tacere, come tacqui, qualche cosa.

Ne consegue che tutto quanto di reale è affermato nel memoriale non può essere messo in dubbio e nessuno lo contestò, né tedeschi né repubblicani. In questi ultimi rimase solo un forte dubbio sulla reale spontaneità della mia mossa iniziale presso il Comando di Salonicco, tramite von Gyldenfeldt, nonostante il colore di cameratismo che nel memoriale avevo cercato di conferirle.

D) Quanto detto per l’Albania nel “promemoria N.2” mi pare fosse sostanzialmente confermato nel telegramma circolare Ambrosio pervenutomi il 9 mattina[18]; potrei involontariamente confondere nella mia memoria il contenuto dell’uno con quello dell’altro documento. In quest’ultimo ricordo che si prescriveva alla 9ᵃ armata di “informare i Tedeschi dei movimenti delle truppe italiane”; quindi atmosfera di compromessi.[19]

E) Con riferimento a quanto accennato per Aeronautica e Marina a pag. 2[20] della presente appendice.

Dopo l’annuncio dell’armistizio chiamai a me il col. Chiesa, comandante dell’Aeronautica, ed il capitano di vascello Del Grande, capo di S.M. italiano dell’ammiraglio tedesco dell’Egeo, e comunicai loro quanto prescritto nel promemoria.

Il col. Chiesa ml disse che gli aerei, data l’ora tarda e (mi pare anche) per essere il servizio di illuminazione dei campi in mano al Tedeschi, non potevano partire.

Il com.te Del Grande si assunse il compito di far giungere la comunicazione anche all’ammiraglio Lombardi, comandante della Marina in Morea[21], e rimase in contatto con me (assistendo anche alle mie discussioni col gen. Lanz) anche per decidere sul da farsi al Pireo, che era porto tedesco e munito di sbarramenti tedeschi. Quanto concerne la Marina nel verbale Scoti – von Bogen era concertato col com.te Del Grande, che riteneva incompatibile l’autoaffondamento totale con il clima di accordi stabilito per l’armata. Al Pireo venne eseguito, simbolicamente, l’affondamento di poche navi. Per contro l’amm. Lombardi mi ha poi riferito che, avendo ricevuto ordini diretti dal Ministero della Marina, era riuscito a far partire in tempo il naviglio da lui dipendente.

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[1] Il seguente è il testo oggi ufficialmente disponibile del  Promemoria N. 2 . Non si sa, però, quali correzioni, secondo la relazione del gen. Vecchiarelli, fossero state apportate a matita sulla copia a lui diretta.

[2]Come già indicato, comandante del Gruppo Armate Est, con sede a Tirana (Albania): sarà imprigionato dai tedeschi, tradotto a Schocken (come il gen. Vecchiarelli) e successivamente incarcerato dalla R.S.I.  sino al gennaio 1945.

[3]Comandante delle FF.AA. Egeo, sarà imprigionato dai tedeschi, tradotto a Schocken e successivamente condannato a morte e fucilato dalla R.S.I. a Parma il 24 maggio 1944.

[4]Il gen. Ambrosio.

[5]S.E. = Sua Eccellenza, V.E. = Vostra Eccellenza. Con tali termini ci si indirizzava, durante il fascismo, alle massime cariche civili e militari.

[6]Cfr. con il testo del documento come sopra riportato: notevole la concordanza, se non letterale, certamente di contenuto con quanto riportato “a memoria” dal gen. Vecchiarelli.

[7]Vedi p. 72-73.

[8] Vedi p. 76-80.

[9] Vedi  p. 94.

[10]Si tratta dell’ing. Rosa Bianca Vecchiarelli (1912 – 2007), primogenita del gen. Vecchiarelli.

[11]Cingoli, cittadina collinare in provincia di Macerata, era, come già indicato, il luogo natale del gen. Vecchiarelli.

[12]Il gen. Ambrosio.

[13]Si tratta del già citato Ordine N. 24202/Op. diramato a firma del gen. Ambrosio l’8 settembre 1943, che terminava con le parole “Non deve però essere presa iniziativa di atti ostili contro i germanici” (cfr. pag. 56).

[14] Il gen. Gastone Gambara, incaricato alla vigilia dell’8 settembre di costituire un raggruppamento speciale in Slovenia, passò ai tedeschi e divenne poi Capo di S.M. della R.S.I. Il gen. Alfonso Ollearo, Capo del XXII Corpo d’Armata a Hyeres (presso Tolone), dopo l’8 settembre aderì alla R.S.I. e divenne  Sottosegretario dell’Esercito Repubblicano.

[15]Il riferimento è al già citato processo intentato al gen. Vecchiarelli dalla R.S.I.

[16]Vedi Appendice 1, p. 250.

[17]Gli aderenti alla R.S.I.

[18]Il citato  Ordine N. 24202/Op.

[19]Ed effettivamente il punto 1 di tale Ordine testualmente recita: ”Dare preavviso dei movimenti ai Comandi Germanici”.

[20]Vedi p. 117.

[21] Peloponneso, v. nota a pag. 63.